Cortili e giardini pagano l’IMU come aree edificabili
Le aree urbane, quali ad esempio cortili o giardini contigui ad abitazioni, vanno considerate, ai fini Imu, di regola, come aree edificabili e non come aree meramente pertinenziali. Per essere pertinenziali, e dunque essere tassate in uno con il fabbricato, le stesse non devono essere suscettibili di diversa destinazione, se non attraverso una radicale trasformazione. Con la sentenza n. 26673, depositata ieri, la Corte di cassazione, dopo qualche oscillazione, conferma la linea dura nel trattamento dei suoli in esame nell’ambito del tributo patrimoniale locale.
Il problema riguarda la disciplina Ici/Imu dei suoli classificati in catasto come F1, categoria che identifica l’area urbana, priva di rendita catastale. Appartengono a tale tipologia, ad esempio, i giardini, i cortili, i campi da gioco scoperti e i parcheggi. Al riguardo, si contrappongono da sempre due tesi, una sostenuta dai comuni, l’altra dai contribuenti. Secondo i primi, i beni in questione devono essere considerati come aree edificabili e, in quanto tali, soggetti autonomamente a imposta sulla base del valore di mercato.
La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, ha aderito alla tesi degli enti impositori, rilevando come si tratti di porzioni di suolo, certamente non qualificabili né come terreni agricoli né come fabbricati, derivanti dalla manipolazione intensiva del terreno, funzionale all’edificazione. Per questo motivo, la Corte ha concluso per l’appartenenza delle stesse alla categoria delle aree edificabili.
Riprendendo alcuni precedenti in termini, la Cassazione ha inoltre asserito che per far valere la natura meramente pertinenziale delle stesse occorre che la destinazione a servizio o ornamento del bene principale sia resa oggettivamente manifesta dal titolare del fabbricato e soprattutto che tale destinazione non sia revocabile se non con una radicale trasformazione del terreno. Ove così non fosse, prosegue la Corte, risulterebbe agevole eludere la ratio delle disposizioni di riferimento.
Quanto alla necessità che la natura di pertinenza sia oggetto di apposita dichiarazione, il giudice di legittimità ricorda che, secondo un certo orientamento, la denuncia non è strettamente obbligatoria, a condizione che risulti, sulla base di documentazione inequivoca, anche di origine non tributaria, che tale destinazione era conosciuta al comune.
Le conclusioni della Corte devono essere aggiornate all’ultima riforma dell’Imu, in vigore dal 2020. Ai sensi dell’articolo 1, comma 741, lettera a), della legge 160/2019, infatti, la possibilità di riconoscere la natura pertinenziale ad un’area urbana è soggetta ad una duplice condizione: a) tale qualificazione deve discendere esclusivamente dalla disciplina urbanistica e b) l’area deve essere accatastata unitariamente al fabbricato. È evidente che quest’ultimo requisito consente, in linea teorica, di prescindere dall’obbligo dichiarativo, atteso che le risultanze catastali sono conoscibili dai comuni. Si è però dell’opinione che l’accatastamento unitario rappresenti un elemento costitutivo della nozione di pertinenza. Questo significa che, a stretto rigore, l’accatastamento non può avere effetto retroattivo.