Non è dovuta l’Imu sui fabbricati collabenti, mentre continuano a scontare l’imposta sul valore dell’area fabbricabile quelli accatastati in categoria F/3.

Queste sono le conclusioni a cui è giunta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21749 del 29/07/2025.

La questione affrontata riguardava l’assoggettamento ad Imu di un fabbricato iscritto nella categoria catastale F/2, ossia quella dei fabbricati collabenti, vale a dire degli edifici in rovina, o parzialmente demoliti, che a causa dell’avanzato stato di degrado non sono in grado di produrre reddito e di conseguenza sono privi di rendita catastale.

La Corte ha precisato, tuttavia, che questa disciplina non esclude che anche l’area circostante il fabbricato fatiscente o il fabbricato costruendo (al netto, cioè, della relativa area di sedime o di ingombro) venga in rilievo ai fini dell’Ici o dell’Imu, soggiacendo a differente trattamento a seconda che si tratti di terreno agricolo o di suolo edificabile. Si evidenzia che la sentenza si è mossa nel contesto normativo antecedente al 2020 che prevedeva una disciplina di pertinenza del fabbricato ben diversa da quella contenuta nel comma 741, lettera a, della legge 160/2019, vigente dal 2020; da tale anno, infatti, l’area è considerata pertinenza del fabbricato solo se insistente nella medesima particella catastale del fabbricato e se è pertinenza urbanistica del medesimo fabbricato.

Va evidenziato che il comma 741, lettera a, sopra citato, prevede una differente definizione di fabbricato, rispetto a quella contenuta nell’articolo 2, comma 1, lettera a, del Dlgs 504/1992. La norma del 2019 ha precisato, infatti, che per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita catastale, precisazione, quest’ultima, non contenuta nel citato articolo 2, il quale si limitava a stabilire che il fabbricato è l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano. La necessità che l’unità immobiliare debba essere iscritta in catasto con attribuzione di rendita sembrava volesse precisare che non sono fabbricati (ai fini del tributo) quelli iscritti nelle categorie speciali F, in quanto privi di rendita catastale. Di tale avviso non è stato però il Ministero dell’economia e delle finanze che, con la risoluzione n. 4/DF/2023, ha confermato che gli stessi sono a tutti gli effetti “fabbricati” e la circostanza che siano “privi di rendita” li porta a essere esclusi dal novero dei fabbricati imponibili ai fini Imu, ossia esclusivamente quelli “con attribuzione di rendita”. I fabbricati collabenti sono e restano invece per il Mef “Fabbricati”.

Per questo motivo, detti immobili non possono essere qualificati diversamente, quindi non possono essere qualificati come “terreni edificabili”, a meno che il fabbricato collabente non venga demolito, nel qual caso l’Imu sarà pagata sul valore del terreno libero dal fabbricato.

Per quanto riguarda, invece, i fabbricati iscritti nella categoria catastale F/3, la pronuncia qui commentata ha ritenuto che, trattandosi di fabbricati in corso di costruzione, il tributo debba essere corrisposto sul valore venale della corrispondente area fabbricabile, non segnalando una capacità contributiva autonoma rispetto a quella evidenziata dalla proprietà del suolo edificabile. La Corte ha affermato che, in presenza di un tale classamento, quindi, e fermi i controlli pubblici sulla relativa appropriatezza, l’imposta può attingere solo l’area edificatoria, con la base imponibile fissata dall’articolo 5, comma 6, del Dlgs 30 dicembre 1992, n. 504 (valore dell’area detratto il valore del fabbricato in corso d’opera) (Cassazione n. 7968/2019; n. 11694 e n. 25309 del 2017).

In relazione ai fabbricati F/3 la Corte ha però avuto modo di precisare che qualora si tratti di un fabbricato costruito in sopraelevazione di un fabbricato esistente, il tributo non è dovuto neanche sull’area edificabile, in quanto lo stesso non sfrutta una volumetria ammessa diversa da quella del fabbricato esistente. La sentenza n. 10735/2013, ha affermato che per la determinazione della base imponibile di un appartamento in costruzione al primo piano dell’edificio: “non trova applicazione il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 6, che disciplina l'utilizzazione edificatoria dell'area (individuando come base imponibile il valore dell'area stessa), ma l'art. 2, comma 1, lettera a), che per l'assoggettabilità ad imposta del "fabbricato di nuova costruzione" individua due criteri alternativi: la data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, quella di utilizzazione: di tal che, nella specie, non essendosi realizzato alcuno dei due presupposti, il Comune non poteva assoggettare ad ICI l'area su cui si sviluppava la cubatura in relazione alla quale era stata conseguita la concessione edilizia per l'appartamento al primo piano, non essendovi altra "area fabbricabile" che quella su cui insisteva l'appartamento a suo tempo realizzato al piano terreno.”

Anche l’ordinanza n. 6040/2023 ha evidenziato che trova applicazione il principio secondo cui, quando, sfruttando la “cubatura” residua disponibile, venga successivamente eseguita una seconda costruzione, la stessa è tassabile solo dal momento della sua ultimazione senza che in precedenza si possa tassare come area fabbricabile la superficie che fornisce la “cubatura” per la realizzazione della seconda costruzione. Ciò visti i principi già affermati dalla Corte (Cassazione n. 10735 del 20/5/2013; n. 23347 del 15 dicembre 2004).

Per la determinazione della base imponibile di un’area sopraelevata rispetto ad altro piano di un edificio, quindi, non trova applicazione il Dlgs n. 30 dicembre 1992, n. 504, articolo 5, comma 6, che disciplina l’utilizzazione edificatoria dell’area (individuando come base imponibile il valore dell’area stessa) – oggi comma 746 legge 160/2019 - ma l’articolo 2, comma 1, lettera a) della medesima norma (oggi comma 741 lettera 160/2019), che per l’assoggettabilità a imposta del “fabbricato di nuova costruzione” individua due criteri alternativi: la data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, quella di utilizzazione.” La previsione del comma 746 legge 160/2019 trova applicazione solo nell’ipotesi di interventi “pesanti”, ovvero quelli che prevedono la demolizione e ricostruzione del fabbricato con aumento delle volumetrie preesistenti. Anche se, in realtà, nell’Imu l’unità impositiva minima non è il fabbricato, ma la singola unità immobiliare.

Resta da chiarire il trattamento di un fabbricato iscritto in categoria F/3 sito sulla stessa particella di terreno di un altro fabbricato ultimato e accatastato, autonomo dallo stesso. In questo caso il fabbricato F/3 non utilizza la stessa volumetria del fabbricato già ultimato, ma quella “residua” della medesima particella o del lotto. Volumetria che potrebbe però rientrare nel concetto di pertinenza stabilito dal comma 741 della legge 160/2019 la cui tassazione viene assorbita dal fabbricato ultimato già presente. Assorbimento che però appare difficile sostenere in presenza di un suo autonomo sfruttamento.